David Monacchi, foto di Irene Tomasi
David Monacchi, foto di Irene Tomasi

Applausi. Così si conclude l’intervento di David Monacchi, artista interdisciplinare, compositore e ingegnere del suono, che da anni conduce ricerche di lungo termine sul patrimonio immateriale dei suoni delle foreste primarie equatoriali più remote e incontaminate del pianeta.

Ad assistere erano presenti molte persone, ma l’unico suono udibile era quello della natura. Con i suoi video tratti dal documentario “Dusk chorus” (il coro del crepuscolo), Monacchi ha immerso il pubblico nel cuore dei diversi ecosistemi.

“Fragments of extinction” (frammenti di estinzione) è il titolo del progetto cominciato nel 1988, ideato per sensibilizzare gli ascoltatori sul delicato tema dell’estinzione della biodiversità. Proprio attraverso l’ascolto dei vari suoni che caratterizzano la natura, Monacchi vuole trasmettere un messaggio importante: ciò che lui e il suo team sono riusciti a sentire e registrare, non sarà disponibile per molto. È una vera e propria catastrofe, che oggi troppo spesso viene trascurata. Quello dei suoni è un patrimonio immateriale non protetto, che proprio attraverso questo progetto l’ingegnere cerca di patrimonializzare.

Un mezzo per raggiungere quest’obiettivo è anche la costruzione di tre teatri sonosferici, uno in Danimarca e due nella città di Pesaro, che hanno la funzione di permettere un ascolto profondo di quelle che sono le voci di un ecosistema e quindi riconnettere l’uomo al mondo naturale.

“Stare in foresta non è facile”. Risponde poi il professore ad una domanda personale riguardo le sensazioni provate in mezzo alla natura incontaminata. “La vista si annulla e ci si orienta con il suono – continua. –  Il suono diventa il tuo unico strumento dello spazio”. L’uomo in un ambiente così incontaminato si sente ospite e non padrone. “La foresta è pregna di vita”. Conclude infine.

Di Nicole Avezzù e Viola Pertoldi